Ognuno di noi crede in qualcosa. C’è chi crede negli extraterrestri, chi crede nelle scie chimiche o chi, come me, crede che la Somatoline possa davvero far sparire la cellulite. Insomma tutti “crediamo” in qualcosa. Mia nonna, ad esempio, credeva che portare un bambinello di cera, dello stesso peso del proprio figlio “miracolato”, fosse la giusta “ricompensa” da dare alla Madonna.
E la storia che voglio raccontarvi oggi parte proprio da questa credenza.

Inizia più di 50 anni fa quando mia nonna invocò per la prima volta la Madonna della montagna di Polsi, chiedendole di salvare la sua secondogenita da una febbre particolarmente alta. Da allora mia nonna ci ha insegnato cosa significa credere in qualcosa. Per anni l’abbiamo vista scendere dalla macchina, dopo un viaggio di 2 ore su una strada a tratti da brividi, ed incamminarsi scalza verso questo piccolo santuario che sta nel cuore dell’Aspromonte. Ci ha insegnato ad amare un luogo che per noi è diventato nel tempo simbolico.

Polsi era la gioia della gita in montagna; la paura per il mal di stomaco dovuto alla strada tutta curve; l’ansia che mettevano tutti quegli oggetti (stampelle, ciucci, etc.) che la gente lasciava in santuario come richiesta o ringraziamento per una grazia ricevuta; era l’attesa del panino consumato su un prato, e tante altre cose.

Così un giorno, nonostante ognuno di noi avesse una patente nel portafoglio, abbiamo deciso di andarci a piedi. Più di 60 km partendo da 90 m s.l.m. fino a toccare 1.900 m s.l.m. di Montalto, per poi riscendere giù verso Polsi. E’ sembrata a tutti una follia, a tutti tranne che alla nostra famiglia, che alla fine si è ritrovata a fare il tifo per noi e ad aiutarci a raggiungere la nostra piccola impresa. Dal 2006 intraprendiamo ogni anno (o quasi) questo piccolo cammino, che è diventato l’occasione per stare insieme e per innamorarsi un po’ di più della propria terra.

Quest’anno abbiamo camminato con l’odore di bruciato nelle narici e il fuoco accanto alla strada; abbiamo camminato in mezzo alle felci alte quasi quanto noi e abbiamo avuto come compagni di viaggio anche mucche e cinghiali. Ci siamo fermati a mangiare un panino ascoltando il suono di un organetto e un tamburello, e nonostante la difficoltà delle ultime 2 ore di discesa, abbiamo sempre trovato il tempo per scherzare e incoraggiarci a vicenda. Abbiamo scoperto che l’umorismo non è scontato, che non è una dote che hanno tutti, ma averla rende tutto molto più divertente.

Anche quest’anno mi sono seduta e ho ascoltato il silenzio della montagna e mi sono sentita una persona fortunata perché, un biglietto per l’Argentina a parte, non avevo nulla da chiedere né alla Madonna né a chi per lei 🙂