Cammino di Santiago

‌C’è una cosa che proprio temevo prima di partire, e quella cosa era il freddo. Oggi ho scoperto che quando la tua anima desidera qualcosa, il tuo corpo si adatta ai suoi desideri. E anche se a Reggio Calabria dormi con il piumone fino a giugno, per quanto sei freddolosa, in Cammino nemmeno una bufera di neve ti può scalfire.

Certo stamattina non potevamo nemmeno immaginare quello che avremmo vissuto!!

Appena svegli il tempo non era dei migliori, infatti partiamo subito super coperti e dotati di poncho. Appena fuori da Astorga incontriamo Nicola che con il quale ci intratteniamo per un po’. Alla prima sosta a Murias de Rechivaldo, alleggeriamo il nostro abbigliamento, visto che l’andatura ci ha comunque riscaldati. Prendiamo un cafe con leche da una signora molto simpatica e poi ripartiamo. Da notare che il mio vocabolario di spagnolo è molto migliorato. Ieri, infatti, ho imparato una parola fondamentale: “rosado”, necessaria per chiedere un bicchiere di vino rosè 🙂

Tornando a noi… Dopo Murias de Rechivaldo facciamo una brevissima sosta a Santa Catalina de Somza. Camminiamo sotto una pioggia incessante da un paio d’ore, e nonostante il poncho abbiamo tutti i pantaloni bagnati dalle cosce in giù. Il clima contribuisce a renderci più silenziosi, così camminiamo, per la maggior parte del tempo, ognuno perso nei suoi pensieri con il rumore del vento a farci compagnia. A forza di ascoltarlo mi sono accorta che assomiglia a quello del mare in tempesta, e un po’ mi sono sentita a casa.

Camminare da soli ti dà modo di riflettere tanto su tante cose. Su cosa è importante e cosa no. Su cosa ci rende felici e cosa no. Ed è tutto così semplice…

La verità è che la vita dovrebbe essere un unico grande Cammino di Santiago, dove tutti si aiutano reciprocamente e dove il sorriso è un regalo quotidiano. Oggi, ad esempio, mentre camminavo sotto la pioggia ho incontrato una ragazza di Barcellona. Mentre mi affiancavo a lei, si è girata e con un sorriso a 32 denti mi dice “it’s a sunny day”. Io non so se sto sviluppando un tipo di sensibilità particolare, ma mi ha davvero scaldato il cuore!

El Ganso ci accoglie con la neve, ed è davvero emozionante, ma solo perché ancora non sappiamo cosa ci aspetta. Qui facciamo una pausa piuttosto breve. Il timore, infatti, è quello di raffreddare troppo e sentire freddo. Quindi prendiamo un succo di frutta, ci facciamo timbrare la credenziale e ripartiamo. Anche in questo caso ripartiamo ognuno con il proprio passo, in meditazione silenziosa sotto il nevischio.

La prima vera pausa la facciamo a Rabanal del Camino, dove ci fermiamo a pranzare (con un classico intramontabile: Cerveza e Bocadillo). Tanti decidono di fermarsi qui, d’altronde abbiamo già fatto 21 km. Ma noi decidiamo di proseguire verso Foncebadon. Mentre stiamo per partire da Rabanal del Camino incontriamo Benjamin che sta pranzando. Mi chiede come va con i bastoncini da trekking comprati ieri, e poi ci accordiamo per rivederci a Foncebadon, visto che anche loro proseguiranno.

Sono 6 km di salita. Non sembra impossibile, ed in alcuni tratti senza pioggia e neve, sembra anche facile. Poco dopo però inizia a nevicare davvero. È una bufera: il vento contro non ti permette di vedere la strada. Si cammina quindi a testa bassa e con i guanti ormai zuppi. E nonostante questo io stavo bene. Nonostante questo ero felice, piena di gioia. Tanto che all’arrivo mi viene un nodo alla gola dall’emozione. Certo prima di trovare un albergo per tutti e 4 facciamo un paio di tentativi, ma alla fine troviamo posto all’albergue Cruz de Hierro. Più che un albergue sembra un rifugio di montagna, viste anche le condizioni meteo esterne. E non so se è la neve, il freddo o la stanchezza, ma a me sembra un posto speciale. Lo diventa ancor di più quando uscita dalla doccia vedo Benjamin e suo padre nei letti accanto a noi. Sembra davvero di essere a casa, in famiglia.

Essendo arrivati intorno alle 15:45 abbiamo tutto il tempo per lavarci e rilassarci. E l’atmosfera è meravigliosa! Giorgio, che si trova a gestire l’albergue da solo, corre da una stanza all’altra per accontentare tutti. Nella sala da pranzo c’è anche una chitarra che Benjamin inizia a suonare per esercitarsi. Fuori nevica. Ed io mi sento sciogliere dentro. Penso a tante cose, e riesco ad immaginare cosa provavano i cacciatori d’oro quando trovavano una pepita. Perché io mi sento proprio così.

Dopo aver fatto la lavatrice diciamo a Giorgio cosa preferiamo mangiare rispetto alle opzioni del menù, e attendiamo la cena. Mentre aspettiamo vediamo da lontano un ultimo pellegrino che arriva in mezzo alla neve. È Andrea! Siamo al completo.

La cena è uno spettacolo. Il nostro turno è composto da 10 posti: 2 tedeschi, 4 italiani e 4 coreani.
Io trovo l’Enza coreana con cui ho già stretto amicizia su Facebook, con promessa di farci reciprocamente visita. Ci mettiamo a chiacchierare di tutto, tutti insieme ed è bellissimo.

Se tutto questo non è magia, io allora non so come chiamarlo!!