Lascio Sclafani abbastanza presto. Non sono in formissima fisicamente, ma si tratta di difficoltà che una donna che cammina mette in conto. Per cui non me la faccio prendere a male e inizio a camminare. Esco da Sclafani, e poi attraverso un sentiero caratterizzato dalla presenza di falesie, arrivo in poco tempo a Caltavuturo. La salita che porta a Caltavuturo mi spompa un bel po’, tanto che durante una sosta faccio un mezzo disastro con la borraccia. Non so come, ma mi rovescio l’acqua addosso mentre sto per rimettermi lo zaino. Il risultato è un paio di pantaloncini bagnati, e una borraccia vuota. Inveisco per un po’ contro la mia maldestria, anche perché le nuvole e l’arietta fresca, non sono il massimo quando hai i pantaloncini bagnati. Tuttavia quando sto per farmela prendere male, vedo l’insegna di un vecchio bar. Quando dico vecchio bar dovete proprio immaginarvi un bar con arredi e stile anni 70. Mi piace e mi guardo intorno affascinata. All’improvviso però spunta quello che sembra essere il proprietario. È un signore anziano tutto trafelato che tiene in mano una sac a poche piena di crema. Mi chiede scusa, ma dice che sta facendo i biscotti e proprio non può servirmi. Io resto imbambolata a guardarlo finché non mi accompagna alla porta gentilmente, indicandomi il bar successivo. Lì mangio un cornetto al pistacchio buonissimo, ma l’atmosfera dell’altro bar mi piaceva di più.

Riparto da Caltavuturo carica. Attraverso campi di grano e pale eoliche, e alla fine iniziò a scendere fino al viadotto dell’autostrada. Ci passo sotto con un po’ di timore, e mi ritrovo così ai piedi della salita per l’eremo di San Gandolfo. Fa caldo, e come ogni salita è faticosa. Anche qui mi fermo spesso, a volte anche al sole perché non riesco a trovare zone d’ombra. Dalla traccia sembra quasi di essere arrivati, ma niente. Ad un certo punto mi ritrovo sull’asfalto. MAPS.ME mi dice che l’eremo è a 400, lunghissimi, metri.

Stringo i denti, e spendo le mie ultime energie per rifiutare il passaggio di un vecchietto in “Lapa”. Lui pensa che io abbia paura e continua a dirmi “non ti faccio niente”, ma io ho l’eremo a 2 passi, non posso salire sulla “Lapa”, anche se mi piacerebbe. Per cui tiro dritto e finalmente lo vedo. Anna, la signora che deve aprirmi mi manda un messaggio per dirmi che ritarderà. Io le dico di fare con comodo, d’altronde è il 15 di agosto, non voglio darle ulteriore fastidio. Cerco di aprire il cancelletto laterale ma sembra bloccato, e quelli d’avanti sembrano chiusi. Per cui butto lo zaino dall’altra parte e scavalco la recinzione. Nel cortile ho già puntato una panchina all’ombra e la fontana. Entro, mangio uno dei panini al pomodoro che mi aveva portato Giusy, e poi mi sdraio all’ombra. Intanto sento Totó che dall’eremo di San Felice passerà la serata con me qui a San Gandolfo, così diventeremo gli “amici degli eremi”.

Dopo una ventina di minuti arriva Anna. Apre il cancelletto frontale senza chiave e, vedendomi dentro, mi dice: “Bene che ti sei accorta che il cancelletto era aperto, così sei entrata comoda”. A me viene da ridere, ma non dico nulla per non fargli capire subito che sono un po’ rinco. Anna e il marito sono gentilissimi, tanto per cambiare, e mi mostrano con orgoglio l’eremo. Dentro c’è tutto, dallo stendino alla pasta. Certo l’eremo in passato ha avuto dei problemi di…come dire….stabilità, per cui in ogni muro interno, su ogni crepa, sono posizionate delle fascette, che hanno lo scopo di segnalare ulteriori “spostamenti”, ma Anna sembra tranquilla e tranquillizza anche me. Dopo aver fatto il giro dell’eremo Anna mi saluta e mi da appuntamento al pomeriggio. Un loro amico si è infatti offerto di fare da cicerone a me e Totó, ed io accetto volentieri. Inizio quindi la mia routine quotidiana: doccia, lavaggio vestiti, riposo.

Mentre sono beatamente sdraiata a letto, vengo letteralmente terrorizzata dal suono fortissimo di una campana. E a pochi passi dal mio letto, ed è stata attivata da qualcuno al piano di sotto. Perdo 5 secondi ad accertarmi di essere ancora viva e poi scendo. Sotto trovo un vecchietto. Inizialmente mi guarda serio e chiarisce subito che lui è il custode/proprietario dell’eremo. Io spiego subito chi sono e lui sembra tranquillizzarsi. Mi dice che ha dei lavori da fare, deve mettere l’acqua alle piante. Mi offro di aiutarlo ma rifiuta fermamente. Iniziamo però a chiacchierare, ed in men che non si dica, mi sta raccontando la sua vita. Ha 92 anni, ma una memoria e una vitalità da fare invidia ad una 37enne in cammino sulle Madonie. Mi racconta dei mille lavori che ha fatto, di tutte le cose che ha imparato, ed io perdo la cognizione temporale. Mi accorgo del tempo che passa quando all’improvviso vedo comparire Totó. La situazione cambia poco, perché anche Totó è affascinato da Peppino. Passiamo più di un’ora a chiacchierare con lui e scopriamo, tra le altre cose, che dietro l’eremo c’è un cimitero del 1800. Totó è incuriosito, mentre io ringrazio la mia buona stella per aver qualcuno con cui condividere una camera con alle spalle un cimitero del 1800!!

Peppino comunque è una persona meravigliosa, una di quelle che “mi porterei a casa”. Ad un certo punto parla della moglie, scomparsa 7 anni fa. Io le chiedo come si chiamasse e lui, per tutta risposta, ci porta in macchina e ci mostra una foto della moglie con sul retro una frase scritta da lui, che recita più o meno così: “Ci incontreremo lì, dove tutto è più lieve e dolce”.

Vi siete mai chiesto com’è l’amore? Io ce l’ho avuto davanti, in un pomeriggio di ferragosto a Polizzi Generosa. Mi si riempiono gli occhi di lacrime dalla commozione, che poi è tristezza per un amore scomparso, ed emozione per un amore che non può finire. Rimaniamo un po’ in silenzio e poi cerchiamo delle parole di conforto, che forse non esistono. Alla fine Peppino si fa una foto con noi, ci abbraccia e ci saluta con affetto. Ecco qui, ho appena fatto un altro incontro pazzesco.

Salutato Peppino ci rendiamo conto che abbiamo perso la nostra occasione con il cicerone, ma decidiamo comunque di andare in paese a fare un giro, e a comprare 2 birre per la cena. E così facciamo. Rientriamo all’Eremo per cena (che ha portato Totó). Mangiamo mentre ci raccontiamo un sacco di cose, e mentre ironizziamo sulle fascette ai muri. Poi usciamo fuori per finire la nostra birra. Purtroppo il faretto nel cortile non ci permette di vedere le stelle, ma rimaniamo comunque fuori a chiacchierare (ancora). Alla fine però cediamo alla stanchezza, sopratutto io, e ci mettiamo a letto. I racconti di Peppino sul cimitero e altre cose, mi tengono un po’ sveglia, ma dura poco. Sono stanca, e poi so che c’è Totó, per cui sorrido, chiudo gli occhi, rivedo la bella giornata appena trascorsa e mi addormento.